Covid-19, danni per 12 miliardi | Le contromosse dei consorzi virtuosi

Il 2020 sarà certo ricordato come l’annus horribilis per la vitivinicoltura italiana tra incubo dazi, Covid, lockdown e crollo delle vendite in Horeca con wine bar e ristoranti che, sebbene riaperti, tra psicosi e mascherine lavorano a mezzo servizio quasi ovunque.

Un anno che mette alla prova anche la maturità dei consorzi italiani dopo che dal Mipaaf sono arrivati solo incentivi per la distillazione e per la vendemmia verde, misure assolutamente insufficienti per far fronte allo tsunami che ha interessato il settore. Per di più per quanto concerne la vendemmia verde, che prevede il diradamento dell’uva per produrre di meno risulterà difficilissimo, viste le esigue forze ispettive in campo, verificare la reale applicazione della misura.

Ci sono altre due misure che i terroir vitivinicoli italiani possono adottare per arginare fluttuazioni di mercato: calo delle rese produttive in deroga a quanto previsto dai disciplinari di produzione e riserva di cantina, ovvero bloccare per poi eventualmente sbloccare un po’ per volta le produzioni sulla base delle risposte dei canali di vendita e dei mercati. L’altra strategia di medio e lungo termine in qualche caso già richiesta e in altri casi in fase d’analisi, come in Sicilia, è il blocco a nuovi impianti viticoli per il prossimo futuro.

Chi si è mosso in modo più virtuoso? Queste le denominazioni che hanno tempestivamente adottato contromisure: Valpolicella, Soave, Prosecco di Valdobbiadene, Pinot Grigio delle Venezie, Brunello di Montalcino e Chianti.

Il Consorzio Brunello di Montalcino porterà le rese da 80 a 70 quintali ad ettaro. Il Consorzio del Chianti ha approvato la misura per un taglio delle rese produttive del 20%. Il Consorzio Vini Valpolicella ha stabilito di ridurre da 120 a 100 quintali per ettaro la resa massima dei vigneti, con una cernita dell’uva destinata all’appassimento di Amarone e Recioto pari al 45% , oltre al blocco totale e senza deroghe degli impianti nella denominazione per altri 2 anni. Il Consorizo del Soave ha scelto un taglio alle rese da 150 quintali per ettaro per la Doc a 130 quintali per ettaro (-13%) e da 140 quintali per ettaro a 130 quintali per ettaro (-7%) per la zona Classica e dei Colli Scaligeri. Non è da meno la Doc delle Venezie, dove si produce l’80% del Pinot Grigio italiano: il Consorzio ha chiesto alle regioni riduzione delle rese e riserva di cantina. Si muove così anche il Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore che porta le rese per l’imminente vendemmia da 135 a 120 quintali ad ettaro.

Nell’Italia del vino dei benpensanti nelle interviste ma che spesso razzolano male nella sostanza, c’è anche chi ritiene queste misure inutili. A guardare i dati economici vien proprio da pensare il contrario, perché i vini di qualità insieme al resto dell’agroalimentare d’eccellenza hanno pagato a caro prezzo l’onda lunga della pandemia.

L’emergenza Covid-19 ha provocato perdite stimate in 12,3 miliardi di euro al settore agricolo nazionale nel 2020 per effetto del taglio alle esportazioni, delle difficoltà e chiusure di bar e ristoranti, del crollo dei flussi turistici e della pesante contrazione delle quotazioni alla produzione per taluni prodotti in controtendenza rispetto all’aumento dei prezzi al dettaglio per effetto di distorsioni e speculazioni che vanno fermate. E’ quanto ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, in occasione della convocazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte per gli Stati Generali.

«Da quando è iniziata la pandemia in Italia – ha precisato Prandini – il 57% delle 730mila aziende agricole nazionali ha registrato una diminuzione dell’attività con un impatto che varia da settore a settore, dall’allevamento al vino, dall’ortofrutta all’olio, dai fiori alle piante senza dimenticare la pesca e l’agriturismo che ha azzerato le presenze».

«L’allarme globale provocato dal Coronavirus – ha sottolineato il presidente della Coldiretti –  ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico della filiera del cibo e delle necessarie garanzie di qualità e sicurezza ma ne sta però mettendo a nudo tutte le fragilità sulle quali è necessario intervenire con un piano nazionale di interventi per difendere la sovranità alimentare e non dipendere dall’estero per l’approvvigionamento alimentare in un momento di grandi tensioni internazionali sugli scambi commerciali».

In gioco c’è una filiera allargata che in Italia dai campi agli scaffali vale oltre 538 miliardi con oltre 3,6 milioni di occupati con l’Italia che nonostante una storica sottovalutazione può ancora contare su un’agricoltura che si classifica al primo posto a livello comunitario per numero di imprese e valore aggiunto grazie ai primati produttivi, dal grano duro per la pasta al riso, dal vino a molti prodotti ortofrutticoli ma anche per la leadership nei prodotti di qualità come salumi e formaggi.

«Nonostante questo – ha denunciato il presidente della Coldiretti – l’agricoltura italiana è la meno sostenuta tra quelle dei principali Paesi europei dove in vetta alla classifica ci sono al primo posto la Francia, seguita da Germania e Spagna. E la situazione potrebbe peggiorare – ha continuato Prandini – considerata l’inaccettabile intenzione dell’Unione Europea di tagliare di circa 34 miliardi il budget agricolo attuale destinato alla Politica Agricola comunitaria (Pac). Serve – conclude Prandini – un nuovo protagonismo dell’Italia in Europa anche per quanto riguarda la gestione delle risorse economiche destinate all’agricoltura che è un’eccellenza del Paese determinante per la competitività».

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