«Vino naturale? Portiamolo ai corsi dei sommelier, servono cultura e regole»: Stefano Belli di Vino in-dipendente dice la sua

[intro-text size=”25px”]La scorsa settimana sono stato un po’ ruvido con “Vino in-dipendente”, manifestazione che vivrà la sua sesta edizione a Calvisano, in provincia di Brescia, domenica 2 e lunedì 3 febbraio. Ho detto la mia, con fermezza, sul proliferare di eventi che celebrano un settore ancora impegnato a trovare la quadra tra realtà e fughe in avanti. E’ giusto però documentare anche il sentimento e la filosofia che dominano chi sta dall’altra parte, auspicando segnali che non arrivano dai piani alti. Il messaggio nella bottiglia è al Mipaaf e anche alle associazioni dei degustatori professionali, ma per capire bisogna andare con ordine.[/intro-text]

“Vino in-dipendente” nasce da un’idea di Stefano Belli, sommelier da oltre quindici anni. E’ un attivista delle tematiche legate all’ambiente e al territorio, che va a manifestare ogni volta che serve. Agli amici spiega: «Se tu sposi una filosofia fatta di sostenibilità, quella filosofia devi viverla tutti i giorni in concreto e non solo quando organizzi il tuo evento». Belli è anche co-autore del portale Internet uvanatura.it dove si dà visibilità diretta ad alcuni produttori controcorrente. Il lavoro di Belli mi ha incuriosito e l’ho intervistato.

Stefano Belli

Quando è nato il suo amore per il mondo del vino?

«Quindici anni fa, partendo da una passione, sono diventato sommelier AIS. Poi, circa dieci anni fa, sono stato sedotto dal mondo del vino naturale, che io preferisco chiamare “sostenibile”. Sono stato coinvolto direttamente dai produttori che mi hanno mostrato come certe etichette che nascono dalla vigna e da metodi antichi siano proprio diverse da quelle convenzionali». 

Dalla curiosità di approfondire è nata una missione?

«Diciamo che nel tempo ho avuto richieste di collaborazione da svariati vitivinicoltori e anche da parte di titolari di locali desiderosi di sviluppare carte dei vini legate a questo specifico segmento di mercato. Dal canto mio ho voluto impegnarmi per il territorio, per far conoscere quello che a mio avviso è un universo davvero interessante».

Com’è nato Vino in-dipendente?

«Dalla mia idea sostenuta dal Comune di Calvisano. Sono due le amministrazioni che ci hanno creduto e che stanno dando continuità alla nostra azione. Quest’anno sarà la sesta edizione. Un progetto che da 6 anni continua a essere sul territorio. La gente che viene torna entusiasta: arrivano anche da altre province e regioni, compresi importatori dall’oriente e dal Sudamerica, com’è successo alla quinta edizione». Quest’anno Davide Micheletti, proveniente dal mondo ASPI, ha collaborato con me alla selezione delle aziende. C’è poi la Pro loco che mi assiste a livello logistico».

Come mai con un nome dell’evento così assonnate non avete pensato di coinvolgere FIVI, la Federazione dei Vignaioli Indipendenti?

«Mi sono voluto muovere in autonomia per non avere restrizioni imposte da chi è sul mercato da tanti anni o da chi non sposa totalmente la mia idea. Abbiamo un regolamento che impone certi passaggi che non sono prassi in qualunque organizzazione. Noi ai nuovi espositori chiediamo analisi dei loro prodotti e spero che da questa edizione si possano anche fare controlli a campione. Io non cerco contatti diretti con una realtà grande. Se FIVI si fosse fatta sentire, io ci avrei dialogato con grande piacere. Volessero ad esempio concederci un angolo del Mercato di Piacenza, la loro manifestazione annuale di enorme successo, ad esempio, potremmo ragionarci sopra per dare l’opportunità ai piccoli vignaioli che noi rappresentiamo di farsi conoscere».

Ma i vini naturali sono tutti unici, speciali e irripetibili?

«Il vino fatto in modo artigianale e con determinati criteri dev’essere prodotto secondo canoni che portino nel calice qualcosa di valore a livello organolettico. Che sia unico perché è buono, insomma. Purtroppo in questo mondo ci sono anche produttori che fanno passare i difetti per caratteristiche: messaggio totalmente sbagliato, mi sono battuto personalmente su questo con alcuni vignaioli convinti che possa essere perdonato tutto. Non è così. La beva dev’essere piacevole». 

In cosa un vino naturale differisce da un convenzionale?

«Il vino fatto con le nostre concezioni trasmette delle sensazioni che tendenzialmente il vino convenzionale, che ho degustato per tanti anni con l’ottima scuola AIS, non riesce a trasmettere. I vini naturali emozionano quasi sempre. Hanno una marcia in più in termini d’identità che il produttore porta nel calice».

Ma chi degusta sa distinguere tra vini naturali e convenzionali?

«Bisogna lavorarci. Suggerirei di aggiungere moduli di degustazione dedicati ai vini naturali ai corsi per diventare degustatore professionale. I tempi sono cambiati, bisogna rivedere i programmi. Il nostro è sempre vino, vino italiano, vino che si esporta e prende progressivamente più quota. Trovarlo ai corsi richiamerebbe anche nuovi frequentatori, perché questi produttori dialogano con una vastissima platea di tutte le età. E’ giusto mettere a confronto i prodotti, ma inserendo prima la giusta didattica relativa a questo segmento di mercato sempre più rilevante».

Nel mondo dei vini naturali ultimamente non c’è un po’ una babele di eventi alla rinfusa?

«Io sono dell’idea che ognuno possa presentare la propria manifestazione. Noi cerchiamo di muoverci con una forte selezione all’ingresso. Ho conosciuto i produttori che espongono, visto i loro vigneti, letto le analisi anche di 3/4 anni, per garantire il più possibile il rispetto dei requisiti che noi imponiamo a chi voglia far parte del gruppo. Difetti da superare possono sussistere, ma la condotta è buona».

A tutti gli eventi c’è il medesimo rigore?

«No, ognuno fa le sue scelte ed è liberissimo di agire come crede. Nell’ambito della mia manifestazione vige un regolamento restrittivo; altri aprono le porte a biologico, biodinamico e naturale coprendo una fetta più vasta di produttori, senza offrire la stessa verticalità».

Il biologico non basta?

«Il biologico prevede un’attenzione in vigna, ma le maglie in cantina sono troppo larghe e non rientrano nella nostra concezione. Noi siamo più severi nel percorso dalla vigna alla bottiglia. Per qualcuno dei nostri vignaioli il biologico è un primo passo, che serve anche sul mercato in termini di valore, ma non è il solo».

Qual è la sfida del futuro per la valorizzazione dei vini naturali che lei ama?

«Riuscire a regolamentare questo mondo con un regolamento nazionale ministeriale. Bisognerebbe ragionare con chi produce e si è occupato della divulgazione di questo universo. Servirebbe introdurre indicazioni sulle etichette, un elenco di passaggi da rispettare. Serve trasparenza. Le organizzazioni devono spingere a dare indicazioni ben chiare, da lì verrà il valore aggiunto. Aiuterebbe anche l’export. Ci sono associazioni che su questi punti hanno già presentato richieste anche in sede Unione Europea, sarebbe importante arrivare al traguardo».

Oggi qual è il limite?

«Attualmente ruota tutto intorno a una certificazione volontaria. Dovremmo essere coesi, uniti, un po’ francesi. La mentalità deve cambiare. Chi s’impegna in gruppo ha sempre a che fare con vicini di casa che non riconoscono la meritocrazia e sminuiscono. Il mondo agricolo italiano è fatto di tanti singoli e poca collaborazione».

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