I vini naturali devono puzzare? La riflessione di Sangiorgi che non piace agli irriducibili
[intro-text size=”25px”]E’ stato rilanciato in rete ieri mattina dal giornalista e blogger Franco Ziliani un articolo del mese di dicembre firmato da Sandro Sangiorgi, guru e conferenziere dell’universo vini naturali, enormemente preoccupato rispetto alla deriva per assenza di professionalità e competenza che sta generando una difficoltà nella crescita del settore sul mercato. Secondo Sangiorgi, in sintesi, a causa di repentine virate e un po’ d’improvvisazione, si stanno proponendo al consumo vini difettosi spacciati per speciali. Il suo articolo è molto ampio e lo potete leggere integralmente su Porthos, sito dell’omonima rivista facente capo all’associazione culturale di Sangiorgi, con sede a Roma.[/intro-text]
Vorrei solo sottolineare qui alcuni passaggi del suo approfondimento giornalistico, poiché lui è un opinion leader che in merito al tema è maestro, come pochi in Italia. E’ un paladino del comparto, eppure lucidamente sui macro difetti di alcuni vini naturali scrive: «Le cose, negli ultimi anni, non si sono fatte più semplici. Anzi, com’era inevitabile – e ampiamente previsto e descritto da Porthos sulla rivista e sul sito – la nascita di tante realtà del tutto nuove e la conversione ai regimi biologico e/o biodinamico di molte aziende convenzionali ha generato un’intensa crisi di crescita. I problemi sono molti, diversi di non facile soluzione, cercheremo di esporne la gran parte sull’ultimo numero della rivista. In questo pezzo vorrei riflettere brevemente e senza alcuna ambizione scientifica sulla sensazione che i francesi definiscono “souris” e a me sembra vicina alla buccia di salame andato a male. Non è tanto un odore-gusto rancido o di muffa, mi ricorda piuttosto la pasta della carne di maiale poco curata e il suo budello non pulito bene. Souris, che significa “topo”, si riferisce all’odore dell’urina dell’animale, una percezione che non sono ancora riuscito a catalogare e per ora associo a una sciatta norcineria».
Ma non finisce qui. Sangiorgi aggiunge: «Parte della situazione ruota attorno all’uso dell’anidride solforosa. Rinunciarvi a prescindere, considerando la scelta un atto eroico e per questo da premiare comunque vada, si sta rivelando un errore paragonabile al tanto criticato uso dei lieviti selezionati senza considerare la possibilità della fermentazione spontanea. I dogmi, gli assolutismi, se talvolta e da qualche parte hanno funzionato, non è stato certo nell’ambito della viticoltura e dell’enologia».
La riflessione online del conferenziere dei vini naturali si chiude così: «La nostra intenzione è continuare ad approfondire il fenomeno e cercare di unire i punti che collegano la degustazione e la bevuta di determinate bottiglie, il confronto con chi le ha prodotte e il lavoro dei microbiologi. Anche perché, almeno da innamorati del vino naturale, vorremmo evitarci quella delusione che ci assale da tifosi quando il var annulla il gol per un’irregolarità nell’azione».
Letto e riletto il pensiero di Sangiorgi, che va ringraziato per l’onestà intellettuale a differenza di chi per prendere gli applausi, i contratti e girare l’Italia fa buono tutto, mi domando insieme a Franco Ziliani sui social – il vero artefice di un dibattito che sarebbe stato morto sul nascere – perché tanti interessantissimi spunti di riflessione non siano stati ripresi e amplificati dalla stampa italiana che conta e dalle testate con maggiore diffusione. Per una volta si sarebbe evitato di parlare dei soliti marchi per concentrarsi, invece, su concetti e un punto di vista autorevole riguardo un lato fortemente in espansione della vitivinicoltura contemporanea.
Chiudo osservando che spesso, sui social, il solo mettere in discussione i vini naturali porta i pochi che lo fanno ad essere attaccati e bersagliati come dalla comunità vegana il postare una foto con una gustosa fiorentina e un commento soddisfatto a corredo, in barba a chi rinuncia a tanta prelibatezza. Esprimendo la tua opinione scopri spesso che tanti corretti contadini, strenui difensori della terra e dei valori, alfieri dei piccoli produttori in lotta contro le angherie dell’industria del vino, in realtà impiegano poco a dimenticare che la libertà di pensare e di bere ciò che si vuole andrebbero difesi a vantaggio di tutti.
Il cicaleggiare per caccia di audience al fenomeno dei vini naturali ha abituato male alcuni produttori che, pur portando essi stessi sotto le luci della ribalta il segmento di mercato con un proliferare di eventi e manifestazioni in tutta Italia, reagiscono a ogni critica negativa in maniera molto talebana. Forse oltre a usare meno solfiti dovrebbero usare meno false certezze anche perché, va detto a scanso di equivoci e strumentalizzazioni, i “vini naturali” buoni ci sono eccome (ferma restando la difficoltà di argomentare bene questa definizione con parole e fatti), ma sono sempre meno rispetto alle centinaia di tentativi d’imitazione approssimativa. Appena parte una tendenza che seduce la massa, infatti, moltissimi corrono sul carro facendosi poche domande, senza studio e con poca ricerca. E’ solo questo che dispiace davvero e non si comprende perché parlarne sarebbe sbagliato.