Valtellina Wine Ambassador, Mojoli insegna ai giovani
[intro-text size=”25px”]Il mondo del vino cambia e va raccontato alle giovani generazioni, per far crescere consumatori consapevoli ma anche ambasciatori delle eccellenze che ogni territorio esprime. Partendo da questa consapevolezza il Consorzio Vini di Valtellina ha lanciato un master formativo, sull’onda di un’idea di Giacomo Mojoli, tra i fondatori di Slow Food, formatore e comunicatore.[/intro-text] (Nella foto tratta da ValtellinaNews.it, da sinistra: Giacomo Mojoli e il presidente del Consorzio, Mamete Prevostini, con il suo collaboratore, Andrea Gandossini).
S’insegna vino, ambiente e territorio. Possono prendervi parte gli studenti universitari della provincia di Sondrio di tutte le facoltà, perché l’intento non è parlare con i futuri winemaker ma far crescere ancora una coscienza forte e un orgoglio collettivo. Basta autoreferenzialità e messaggi fotocopia. Per Giacomo Mojoli occorre essere multidisciplinari. Non a caso i focus del master sono: la cultura, l’economia, la storia, la passione, l’antropologia, l’ecologia, l’esperienza, la gioia e la positività. Il corso si concluderà con una prova finale nella quale ai ragazzi verrà chiesto di progettare un evento promozionale per i vini valtellinesi a Milano, quello che risulterà migliore verrà messo realizzato.
Chi se non Giacomo Mojoli poteva essere il curatore del master? Solo lui, che pochi mesi fa con «Top&Pop Wine» aveva invitato il settore a riflettere su come i tempi cambino e le certezze non debbano mai essere granitiche. In un’intervista rilaciata a Giancarlo Gariglio (Slow Wine), Mojoli ha raccontato:
[intro-text size=”25px”]«Circa 15 anni fa, la cosiddetta “critica enologica”, molto professionale e competente in materia, aveva da tempo scandagliato e positivamente sollecitato il mondo della produzione nel costante lavoro di crescita della qualità, intesa come evoluzione tecnica e ricerca accurata dell’ armonia sensoriale dei vini. Io non feci altro che porre una domanda: potevamo ancora pensare che la rappresentazione del vino, della sua valenza agronomica, economica e sociale, fosse interpretabile con la sola lente della qualità organolettica o del potenziale successo commerciale? Dopo aver indagato meticolosamente il mondo dell’agricoltura e della zootecnia con il Progetto dei Presìdi, dopo aver contribuito alla salvaguardia della biodiversità, aver sollecitato allevatori, piccoli contadini e malgari alla produzione di manufatti artigianali dalla tracciabilità adamantina, non avevamo, forse, bisogno di una nuova e più complessa etica dell’enologia, in grado di coniugare economia con ecologia globale? Oggi le risposte sono arrivate. Anche positive, e molte cose sono cambiate nel mondo del vino. Il rischio è però che qualcuno abbia trasformato tutto questo, il “buono da pensare”, in una sorta di certezza dottrinaria, e si sia messo a scrivere e a parlare del vino in una logica èlitaria, incomprensibile alle persone e a coloro che poi il vino lo devono bere. Persino la filosofia si sta ponendo il problema di essere più Pop, così come diverse discipline scientifiche, prima di tutte la fisica, s’interrogano su come trovare linguaggi o contesti più “popolari” in cui essere divulgate. il Salone del Libro vorrebbe diventare Pop, e l’astrofisica approda nei pub in dodici paesi del mondo con un progetto denominato “Pint of Science”. Senza puntare troppo in alto, rimanendo con i piedi per terra, ricordo che il sottotitolo di Top & Pop Wine è il seguente: il gusto è “un sapere che gode e un piacere che conosce”. In fondo, stiamo “solo” parlando di vino, e non di Aristotele».[/intro-text]