Report, un’occasione persa: i veri problemi del mondo del vino italiano sono altri
Non smette di far discutere la puntata del programma d’inchiesta Report in onda su Rai3 il 17 dicembre scorso. Un servizio che ha scosso sin da subito il mondo del vino con una levata di scudi nei confronti dei produttori, in particolare, da parte dell’Unione Italiana Vini. Che il giorno dopo ha diramato un comunicato chiaro rispetto ai contenuti della puntata del programma in onda sul servizio pubblico:
“Riteniamo che l’inchiesta di Report sul vino in onda ieri sera sia stata un’occasione di servizio pubblico mancata per la testata della Rai. Siamo fermamente convinti che un giornalismo libero sia necessario per la crescita del sistema Paese e dei suoi asset, ma in questo caso si è clamorosamente mancato l’obiettivo”. Lo ha detto il presidente di Unione Italiana Vini (UIV), Lamberto Frescobaldi, in merito all’inchiesta di Report “Piccoli chimici” in onda ieri sera su Rai 3.
“Se da una parte – ha aggiunto Frescobaldi – Report ha giustamente rilevato, come fatto in precedenza da UIV, alcune attività non consentite dalla legge come il commercio di uva da tavola per fare il vino, dall’altra ha pedissequamente confuso pratiche perfettamente legali con altre illegali, additivi chimici con prodotti dell’uva consentiti. È poi imbarazzante affidare la narrazione a un sedicente esperto di vino – lui sì “piccolo chimico” – con considerazioni da Bar Sport che non rendono onore alla trasmissione. Report ha fatto di un’erba un fascio lasciando intendere che il settore sia pervaso dal marcio; anziché evidenziare e circostanziare le zone d’ombra si è scelta la strada del qualunquismo, e questo fa male sia ai consumatori che a un asset in grado di rendere 7,5 miliardi di euro all’anno di bilancia commerciale con l’estero e dare lavoro a quasi un milione di persone”, ha concluso il presidente UIV.
Molti altri produttori vitivinicoli seri e rispettabili, per titoli e capacità d’impresa in Italia e nel mondo, hanno preso la parola in particolare sui rispettivi profili web e social per prendere le distanze da una certa rappresentazione che rischia di far passare rischiose generalizzazioni. Dal canto mio, ritengo Report un prezioso format dedicato al giornalismo d’inchiesta, una delle poche trasmissioni che agli strilli per l’audience facile e low cost (a tutti i livelli) preferisce fatti, argomenti e racconti perché ognuno possa poi farsi la propria idea… Nel caso di specie, tuttavia, ritengo che il focus del servizio dedicato al vino sia stato profondamente sbagliato. Il mondo del vino italiano è pieno di problemi reali da raccontare, di lobby che esercitano spesso un potere coercitivo e dispotico sui territori di produzione e le relative denominazioni.
Il mondo del vino italiano deve dedicarsi a una profonda opera di riforma dei consorzi, al potenziamento delle tutele dei produttori perbene con organici di Icqrf (Repressione Frodi) davvero al lumicino se si pensa che oggi il mercato del vino è globale, multicanale e che anche online dovrebbe essere quotidianamente gestita una sorveglianza che spesso non si può fare per via di strutture di controllo sottodimensionate. Oltre a ciò c’è il tema dei bandi e delle misure di sostegno, spesso ancora scritti in modo per favorire i grandi poli piuttosto che le aziende agricole a gestione familiare. Vi è poi il nodo delle burocrazie, che fanno perdere competitività alle nostre imprese del vino. Senza parlare di campagne di comunicazione e di eventi che non sono spesso sottoposti ai monitoraggi costo-efficacia pur essendo in molti casi ormai pagate anche da soci e non soci dei consorzi in regime di “erga omnes” per le regole ministeriali sulla rappresentatività delle denominazioni d’origine: rappresenti la maggioranza in quote di produzione rivendicate, allora puoi far pagare obbligatoriamente tutti per le attività che tu scegli di fare anche se i non associati ai consorzi non possono nemmeno dire la loro.
Alla luce di tutto questo mi aspettavo che Report non indugiasse sul trasformare gli enologi in stregoni, avvilendo figure professionali che in tutto il mondo operano con gli stessi strumenti (in Francia le maglie sono molto più larghe che in Italia) senza arrecare alcun danno ai consumatori ma, al contrario, elevando le qualità organolettiche del vino. Lavorano tutti bene? Non tutti, ma la stragrande maggioranza sì. D’altra parte in quale settore non esistono situazioni equivoche da attenzionare, reprimere e nel caso sanzionare? Report in un mese magico per il mondo del vino italiano, periodo dell’anno in cui molte aziende – specie quelle spumantistiche – realizzano il 70% del fatturato annuo, ha perso un’occasione. Non perché nel mondo del vino italiano vada tutto bene, ma perché non è raccontando ed enfatizzando singoli casi o certe iperboli – creando preoccupazioni agli occhi di un mondo consumatore che non ha studiato Enologia – che si rende un buon servizio all’Italia del vino. L’Italia del vino non è fatta da ricchi sofisticatori snob ma, per fortuna, è ancora rappresentata in gran parte da famiglie di piccoli produttori che in questi anni hanno resistito a tutto: guerre, rincari, concorrenze sleali, lobby, imbottigliatori pirata e anche ad una politica miope, che ha favorito i colossi a scapito dei virtuosi. Dalla grande squadra di Report mi aspettavo un punto di messa a fuoco su questo piuttosto che una narrazione approssimativa e qualche svarione. Peccato.