Vendemmia verde, settore in rosso: l’Italia ha perso la percezione del valore agricolo
Il ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, è l’emblema di un’Italia nel pallone che non conosce ciò che governa. Senza mezzi termini, pur di fronte a uno stato in guerra e con un’economia segnata già ben prima dell’arrivo del Covid-19, bisogna osservare che il mondo agricolo italiano, con la sua forza e le sue fragilità, è un universo del tutto ignoto a chi governa il Paese che, insieme alla Francia, detiene la maggior identità agroalimentare su scala globale. Oggi si parla di “vendemmia verde” come della panacea di tutti i mali, quasi a dire che buttar via l’uva e produrre di meno rispetto ai volumi attuali fosse un rimedio e non una condanna preventiva. Anziché aiuti economici sui conti correnti delle imprese, pace fiscale, un piano di rilancio della competitività per aiutare i contadini ad essere di più e meglio imprenditori, lo Stato italiano sventola come una bandiera cure che sono peggio del virus e dei suoi effetti sui bilanci delle imprese agricole.
Non credo servissero tanti esperti e l’Unione Europea per dire al mondo vitivinicolo italiano «produci meno», tanto più non occorreva accadesse per avere come contropartita una manciata di spiccioli rispetto a tutto quello che risulterà pregiudicato con questa falsa soluzione, che avrà ripercussioni a lungo termine che sopravanzeranno di vari multipli gli indennizzi da fame previsti per la prossima campagna vendemmiale.
Si poteva cogliere l’occasione per fare strategia e pulizia: metter mano con carattere d’urgenza a disciplinari che gonfiano le produzioni deprezzando le fatiche di chi lavora bene e istigando a delinquere; dare contributi per estirpare vigneti in zone assolutamente non vocate; sfoltire le mille burocrazie con cui le imprese del vino italiano devono fare i conti ogni giorno; puntare sulla digitalizzazione delle piccole imprese che danno valore al vino italiano che profuma di storia, qualità e identità. Si sarebbe potuto anche (se non ora, quando?) riequilibrare in seno ai consorzi lo strapotere di grandi poli cooperativi onnivori al servizio di imbottigliatori arroganti che, mossi dalla logica del profitto, non sanno più guardare con rispetto all’universo contadino. Tranquilli, niente di tutto questo accadrà.
Basti pensare che per far fronte alla crisi di mercato nel settore vitivinicolo conseguente alla diffusione del virus Covid-19, il DL Rilancio si limita a stanziare, secondo il documento di lavoro in possesso dell’agenzia ANSA, 200 milioni di euro per l’anno 2020, da destinare alle imprese viticole obbligate alla tenuta del Registro telematico che s’impegnano alla riduzione volontaria della produzione di uve destinate a vini a denominazione di origine ed a indicazione geografica attraverso la pratica della vendemmia verde. Che cos’è? In sintesi la distruzione totale o l’eliminazione dei grappoli non ancora giunti a maturazione, riducendo a zero la resa della relativa superficie viticola. L’articolo 47 del regolamento (UE) n. 1308/2013 stabilisce la possibilità, per i viticoltori, di beneficiare di un sostegno alla vendemmia verde, sotto forma di pagamento forfettario per ettaro.
Secondo quanto definito dal governo, a quanto trapela, la riduzione di produzione di uve da vinificare nel corso della campagna 2020 non potrà essere inferiore al 20% rispetto al valore medio delle quantità prodotte negli ultimi 5 anni.
Inoltre sulle giacenze di prodotto relative alla campagna 2019 si intende attivare una misura di distillazione di crisi rimodulando gli interventi previsti dall’Organizzazione Comune di Mercato (Ocm) del vino, finanziata con i fondi europei Feaga.
Vi sembrano tanti 200 milioni di euro per tutta Italia? Bene, sappiate che sono briciole, a fronte del sacrificio richiesto. Per di più così facendo si rischia di perdere il vantaggio competitivo che il nostro Paese si è guadagnato facendo la storia del vino, sul mercato interno e in particolare nell’ultimo decennio su quello estero. Produrre di meno non sarà certo il modo di consolidare la propria presenza sui diversi segmenti del mercato internazionale, ma si rischia al contrario di lasciar posto ad altri competitor. Per di più, oggi, sul mercato globale minor produzione non significa automaticamente, senza altri strumenti e un nuovo marketing, aumento del valore di mercato o dell’utile netto.
A quanto mi è dato vedere, lo stato di crisi causato dal Covid-19 e dalla pessima gestione statale dell’emergenza, con provvedimenti tardivi e spesso poco coerenti, ha messo in un angolo gli straordinari talenti contadini e operai dell’Italia del vino, dell’agroalimentare e dell’enoturismo. Soffrono anche enologi, agronomi, periti agrari, cantinieri e operai specializzati. L’impossibilità per molte aziende vitivinicole di fare mercato, con wine bar e ristoranti chiusi, ha obbligato gli imprenditori a optare per le misure di cassa integrazione, che comunque durano solo 19 settimane, e a ridurre la forza lavoro. Ora sono molti a chiedersi se passata l’emergenza i livelli occupazionali torneranno quelli di prima, poiché molte aziende a conduzione familiare non avendo ricevuto alcuna forma consistente di ammortizzatore a fondo perduto, com’era lecito aspettarsi, faranno molta fatica a risollevarsi.
Nessuna pace fiscale per il 2020, banche che accrescono la burocrazia statale, sospensione dei mutui che non sempre è scattata con certezza e tempestività. A pesare è anche il fatto che con il lockdown prolungato, emblema della poca fiducia nei confronti degli imprenditori della ristorazione che avrebbero potuto uniformarsi alle norme per il distanziamento sociale e riaprire la porta pur rinunciando ad alcuni coperti, le aziende produttrici di vino si domandano quando torneranno a fluire gli ordini e quando i ristoratori saranno poi in grado di far fronte alle fatture.
I tempi si dilatano e con essi anche le previsioni d’incasso per l’Italia del vino delle piccole aziende che danno identità al settore: molti ristoratori hanno ancora vecchi conti da saldare e i tempi d’incasso si dilateranno per le nuove consegne, se e quando si potranno effettuare.
A fronte di tutto questo si plaude alla “vendemmia verde”? Abbiamo un settore al verde, spinto a richiedere prestiti e a sottostare a un regime di aiuti che sono soltanto un placebo a pazienti moribondi. Quello del vino ai tempi del Coronavirus è un comparto di cui nessuno ha mostrato di curarsi davvero, al di là delle parole. Dirsi contenti dell’elemosina di Stato e UE testimonia solo una cosa: l’Italia non ha più una politica agricola, non sa più perché il settore si chiami “primario” e brancola nel buio, pendendo dalle labbra degli euroburocrati che portano Enotria a spasso.