Tavernello: i sommelier, lo spot che indigna e il Neuromarketing

[intro-text size=”25px”]La forza della pubblicità. Il commento sul recente spot virale del Tavernello potrebbe fermarsi qui. Ma c’è di più, non per niente si è parlato del caso anche a Wine2Wine, importante forum di formazione degli operatori firmato Vinitaly. Prima va spiegato chi è il produttore dietro alla campagna diffusa a partire dalla testata giornalistica Fanpage.it: si tratta di Caviro, cooperativa leader che riunisce 13mila viticoltori su tutto il territorio italiano, nata a Faenza nel 1966. Un rapporto realizzato da Impact Databank per la rivista statunitense Wine Spectator ha indicato nel 2008 Tavernello come il quinto vino più venduto al mondo con 11,4 milioni di confezioni, pari allo 0,4% del mercato vinicolo mondiale.[/intro-text]

Ora parliamo del soggetto dello spot (che potete vedere qui sopra): aspiranti sommelier hanno in degustazione alla cieca quattro tipologie del noto vino da prezzo scelto da 4 milioni di famiglie italiane. Davanti a loro, in una cornice elegante, a fare da giudici ci sono tre nomi noti della sommellerie nazionale: Luca Gardini, Andrea Gori e Alessandro Pipero. Alla fine tutti gli assaggiatori chiamati uno per uno degustano ma nessuno riesce a capire che nei calici ci sono sempre e solo vini Tavernello. Ecco che esplode il caso: le critiche all’operazione sono piovute da ogni parte, anche da parte d’illustri commentatori mostri sacri della degustazione, palati noti a livello mondiale.

Daniele Cernilli, alias DoctorWine, ha dichiarato all’agenzia ANSA: «Fa male al settore e fa male alle aziende, che hanno nella qualità e nella reputazione del brand una leva di successo. La cultura del vino è cresciuta in Italia e all’estero anche grazie all’impegno di tanti produttori e dei narratori del gusto non omologato, che stanno facendo comprendere ai consumatori di tutto il mondo le diverse qualità territoriali del Vigneto Italia». Come dargli torto?

Dunque tutto finto? Tutto preparato? Una bufala? Ai posteri l’ardua sentenza ma lasciamo perdere questo, tanto meglio di Cernilli pochi potrebbero stigmatizzare il messaggio che passa. Concentriamoci invece su ciò che è accaduto dopo la visione dello spot. Su Internet e in particolare sui social è nato un florilegio d’insulti, invettive e derisioni di una pubblicità che è riuscita nel suo intento primario: che si parlasse del committente urbi et orbi. Il marketing, specie nell’era del mercato globale, è tutt’altro che correttezza, misura e fair play.

Non solo. C’è davvero tra gli appassionati chi beve l’etichetta anziché il vino? Forse sì e a dimostrarlo, ben prima di Caviro con il Tavernello, è stato anni fa nel laboratorio di Neuromarketing dell’Università IULM di Milano il professor Vincenzo Russo, decano del settore a livello internazionale che di professione non fa il pubblicitario, con una serie di esprimenti scientifici che hanno misurato le reazioni dichiarate ed emotive di soggetti diversi, dalla casalinga per arrivare ai professionisti della degustazione. Al di là dei marchi è emerso che il solo pensare che un vino con l’etichetta coperta versato nel calice fosse più costoso del precedente ne alterava altamente la percezione da parte di chi era chiamato a giudicarlo. Persino le medesime degustazioni con le etichette scoperte facevano notare una differenza tra la piacevolezza dichiarata e quella realmente registrata a livello cerebrale con le attrezzature modernissime di IULM.

Significa che Tavernello vincerà il premio internazionale di Decanter? No. Significa che è più buono dei vini prodotti con rese basse e qualità dalla vigna alla bottiglia, magari in serie limitata e affinati anni ed anni con maestria? No. Significa soltanto che nel placement del prodotto la nomea del produttore, il blasone dell’etichetta e persino il prezzo concorrono a fissare nella mente una prima “qualità percepita” del vino.

Come ripete spesso il professor Vincenzo Russo alle sue conferenze, citando un passaggio di Antonio Damasio tratto da “L’Errore di Cartesio” (1994), «Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. Questo è assolutamente vero, specie in un mercato del vino che vende i premi delle guide vini spesso (non sempre) più del vino stesso. Degustate, gente, degustate… perché “in vino veritas”, nella pubblicità non sempre.

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