Il vino italiano cresce nel mondo

[intro-text size=”25px”]Il vino italiano cresce nel mondo. Nel 2017 le esportazioni sono aumentate del 7% raggiungendo i 6 miliardi di euro, record storico assoluto. Il centro studi della Coldiretti segnala però che la vendemmia 2017 è stata una fra le più precoci e scarse del dopoguerra, causa gelate e siccità, con un taglio della produzione del 26% rispetto allo scorso anno: un quarto di bottiglie di vino in meno sulle tavole. L’Italia manterrà comunque il primato mondiale tra i produttori (davanti alla Francia) con circa 40 milioni di ettolitri, destinati per oltre il 40 per cento ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) e il restante 30 per cento a vini da tavola. [/intro-text]
Nel 2017 rispetto all’anno precedente le vendite all’estero hanno avuto un incremento in valore del 6% negli Usa che sono di gran lunga il principale cliente, anche se nel 2018 peserà l’impatto del super-euro. L’aumento è stato del 3% in Germania al secondo posto e dell’8% nel Regno Unito che nonostante i negoziati sulla Brexit resta sul podio dei principali clienti. In termini di aumento percentuale la migliore performance con un balzo del 47% viene fatta registrare dalla Russia dove il vino è uno dei pochi prodotti agroalimentari Made in Italy non colpiti dall’embargo.
Buona anche la crescita del 25% in Cina dove tuttavia la presenza rimane limitata rispetto ai concorrenti francesi, che hanno superato quest’anno l’Italia anche sul mercato statunitense. La chiave di volta per il 2018 è lavorare sulla cultura del vino italiano e sulla distintività delle denominazioni, per non avere come unico argomento il prezzo concorrenziale. L’Italia, salvo pochissime eccezioni, affida ancora troppo del suo export solo alle grandi imprese e ai mega imbottigliatori. Per queste realtà bastano pochi centesimi di margine, mentre ai piccoli produttori, che sono in larga parte coloro che affermano la qualità e la vera identità storica del vino italiano, il discorso è diverso.
A questo riguardo vanno segnalati ancora l’assenza di reti d’impresa per un buon marketing, l’unificazione dei centri di costo che appare un miraggio e l’italico campanilismo. Del “tutti avanti in ordine sparso” beneficiano i grandi poli che con le loro strategie aggressive dettano il mercato, riuscendo anche ad accedere di più alle misure UE a sostegno dell’internazionalizzazione. Se il mondo è cambiato bisogna adeguarsi: lavorando sempre allo stesso modo non si potranno che ottenere, sempre, i medesimi risultati. Per primeggiare a valore bisogna cambiare, specializzarsi e crederci.

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